Una mostra di “opere effimere” si interroga sul valore delle memorie
A volte i progetti nascono dal caso, dalla sorpresa, dall’intuizione estemporanea. E’ stato il caso di questa piccola mostra effimera, durata lo spazio di una sera, nata dalla fascinazione di un appartamento abbandonato, ricco di memorie e destini interrotti.
Un progetto di opere effimere suscitato dalla forza evocativa di ambienti dimenticati da 40 anni: “Ciò che resta del tempo” è nato come un percorso di ricerca sull’estetica della memoria.
A cura di Alessandra Dalloli, Nemo Monti e Walter Terruso e con le fotografie di Andrea Martiradonna, la mostra ha messo in scena per una sera soltanto, installazioni ed opere: situazioni estetiche, create utilizzando soltanto gli elementi che erano già presenti nello spazio abbandonato.
Frammenti di memoria si sono susseguiti nelle forme di stanze, arredi, oggetti senza destino. I segni del lento divenire hanno composto una sequenza di tracce, operando la trasformazione delle superfici. In questo contesto di preesistenze è andato in scena un racconto per sottrazione: design degli istanti.
Opere concettuali sono state create utilizzando i resti del tempo sopravvissuti alle trasformazioni. Stanze, arredi, strutture, fratture, trasformate in elementi di un racconto per immagini: opere di luce, design dell’effimero, del transitorio.
Per questa esposizione abbiamo collaborato alla creazione del concept, seguendo anche le diverse fasi operative che hanno portato alla sua realizzazione. Abbiamo poi curato lo storytelling, gestito le attività di content creation, social media marketing, ufficio stampa e PR in occasione del vernissage.